Cosa ho imparato dopo quattro anni di insegnamento…

15 luglio 2018

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Che a rimetterci sono soprattutto i creativi. Che siano ragazzi o docenti. La creatività mal s’accorda con gli stilemi del sistema scolastico moderno. Si può addirittura pensare che la scuola si impegni nel demolire qualunque fantasia. Perché? Perché la scuola di oggi in Italia non è tanto diversa da quella di molti, molti anni fa; forse da quella sorta subito dopo la Rivoluzione industriale. Quando per la prima volta si dette occasione di imparare qualcosa a un numero sempre maggiore di persone. Le coordinate erano, del resto, le stesse di oggi: ordine, disciplina, rigore. La domanda è: ha senso che un docente ancora oggi rincorra questi parametri? Sì, se l’intenzione è quella di continuare a forgiare individui come quelli proposti fino a oggi e che hanno condizionato ogni scelta storica più importante; no, se l’intenzione è quella di provare a cambiare le cose. Perché cambiarle? Perché probabilmente il lavoro svolto dalla scuola da cento anni a questa parte non è stato abbastanza redditizio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: politici, economisti, affaristi, programmatori televisivi… passano gli anni, i decenni, ma il malcontento popolare è sempre lo stesso. E a livello sociale, a parte un benessere sempre più fittizio, le cose parrebbero perfino peggiorare. Il fallimento della scuola è lapalissiano. Dunque, è necessario ripartire da qui. Dai banchi, dalle cattedre. In che modo? Verificando che il sistema scolastico è tarato per un solo tipo di cervello: quello pragmatico e razionale. Per il tipo creativo non c’è spazio. Non c’è mai stato spazio. Ed è un grosso problema. Perché l’intellighenzia che ci guida potrebbe funzionare mille volte meglio se fosse composta non solo da menti pragmatiche, ma anche creative. I creativi hanno sempre avuto vita dura. Creative erano le streghe, condannate al rogo; creativo era Galilei che aveva inventato il telescopio e dovette ritrarre le sue teorie; creativo era Darwin che ci mise venti anni di attacchi di panico prima di riuscire a pubblicare l’Origine della specie. Eppure sono queste figure che hanno reso grande l’uomo, che ancora oggi vengono falcidiate da un sistema che non le valorizza. E allora è indispensabile individuare una volta per tutte i presupposti per bilanciare le cose, e far sì che anche i creativi abbiano il loro margine di azione, e non vengano più scambiati per alieni, o peggio ancora per vittime del mostruoso ADHD. L’ADHD non è altro che un’invenzione per stigmatizzare chi a scuola non sa stare fermo, perché vola con la fantasia, perché di Montale che magari amerà a dismisura quando sarà grande, ora non gliene importa nulla. E non fa nulla per dimostrare che gliene importi. Fedele a se stesso fino alla morte. Fino alla ennesima ingiusta bocciatura. E’ il corpo docenti che deve cambiare; che deve imparare ad affrontare la scuola da un nuovo punto di vista. Sempre meno pragmatico, sempre più creativo. E invece siamo alle soglie della burocratizzazione del pensiero: fra un po’ ci chiederanno di compilare dei questionari per sapere quante volte al giorno andiamo in bagno. Quindi torniamo indietro. O se vogliamo ribaltiamo la scuola sotto sopra. Entriamo in classe e non diciamo più ordine, disciplina e rigore; ma caos, disordine e indisciplina. Anche l’universo tende al disordine, ogni cosa tende al disordine, perché solo a scuola sentiamo dire, ordine, disciplina e rigore? Con questo terrificante trinomio abbiamo raggiunto un solo risultato concreto: l’ottenimento di ragazzi che non sanno più pensare. E sanno solo obbedire come degli automi. Il trinomio ha ucciso il pensiero critico; il libero pensiero. Si vede nei ragazzi più grandi. Pressoché irrecuperabili. In quarta e in quinta non sanno più pensare. Si studia petrografia e gli viene chiesto di parlare delle rocce sedimentarie: va tutto bene; ma se gli si dice, ti trovi nel Parco del Gran Paradiso e noti delle stratificazioni rocciose, a cosa pensi?, vanno in crisi totale. Eppure la domanda è la stessa. Vanno a frignare dal preside che ripristina il modus vivendi: le menti pragmatiche vanno avanti, i creativi si perdono.  Non ce ne rendiamo conto ma riproponendo questi stilemi ottocenteschi non facciamo altro che uccidere la creatività; che nell’ordine, nella disciplina e nel rigore imposti maldestramente non potrà mai sbocciare. Non significa permettere ogni cosa ai ragazzi; ma chiedergli, per esempio, di suggerire le modalità di una lezione. Si scoprirebbero così cose interessanti. Certo, i pragmatici chiederanno di seguire il sistema tradizionale; ma i creativi proporranno, per esempio, di fare lezioni sugli alberi, mentre scalano una montagna, suonano la chitarra, giocano a flipper. Perché dirgli di no? Perché non è mai stato fatto? Smettiamo di entrare in classe e chiedere ai ragazzi di alzarsi. Alziamoci noi di fronte a loro, insegnandogli senza proferir parola, due bellissime cose contemporaneamente: l’umiltà e il rispetto. Del resto i docenti cos’hanno in più dei ragazzi? Dovrebbero scendere dal piedistallo e comprendere che sono solo più vecchi e di conseguenza più colti; ma umanamente non c’è differenza. E metafisicamente hanno probabilmente da insegnarci tanto quanto noi diamo a loro. E c’è una parola in assoluto che andrebbe disintegrata: griglia.  Vengono in mente le sbarre di una prigione e invece è il criterio più insulso per giudicare una persona. Un essere umano. Sarebbe come voler inscatolare l’anima di un ragazzo o la sua coscienza. E le gite? Berlino, Praga, Londra, Madrid; e quando sono esaurite le mete apparentemente più cool, si riprende dall’inizio. La noia. Ma c’è un intero mondo da visitare. Manca però la fantasia dei creativi. E non si andrà mai, per esempio, in città stupende come Belgrado, Sarajevo, Lubiana; o in chiese sconsacrate, manicomi abbandonati, autolavaggi in disuso, dove il creativo, in particolare, che sa andare oltre le consuetudini, potrà ritrovare se stesso. Come venire a capo del problema? Non di certo dando vita all’ennesimo indirizzo scolastico. Fra un po’ ci sarà anche quello dedicato alla produzione di tartufi artificiali. Non di certo dando vita a un liceo quadriennale, quel che hanno fatto recentemente molte scuole. Per quale motivo il liceo quadriennale? Dov’è la rivoluzione? A cosa serve creare robot in quattro anni anziché cinque? La vera scuola da creare è un’altra: non per favorire ancora una volta i pragmatici, ma i creativi. I ragazzi creativi e i professori creativi. Un liceo creativo, ci vuole, niente a che vedere con il liceo artistico, ma una scuola indicata solo per chi a scuola picchietta le dita sul banco, non riesce a stare fermo, ma saprebbe inventare in cinque minuti qualcosa di sensazionale che un pragmatico non riuscirà mai in tutta la sua esistenza. Ecco la vera rivoluzione. Una rivoluzione, però, da quel che ho potuto vedere in questi miei primi quattro anni di insegnamento, parrebbe purtroppo ancora molto lontana.


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